Reportage dai Monti Nuba
Alessandra Garusi
Kauda (Monti Nuba)
December 21, 2000
"Dalla radiolina, comprata a Nairobi, usciva Dombolo, una musica congolese che adesso va per la maggiore. Poi tutto è successo in un attimo: il rombo dell'Antonov sopra le nostre teste, le otto bombe scaricate a mano dal portellone posteriore, i bambini che correvano all'impazzata fuori dai locali fatiscenti dell'ex scuola, oltre il fiume, con il rischio di essere colpiti dalle schegge, le otto profondissime buche scavate nel terreno. Un giorno o l'altro, una bomba così mi ucciderà. O ucciderà qualcuno della mia famiglia, dei miei amici". Paolino Simon Ngoch ha solo 14 anni, ma già l'aria di un ometto. Vive a Kivuli (che significa "ombra" in kiswahili), nel centro d'accoglienza per bambini di strada fondato da p. Renato Kizito Sesana in uno dei tanti quartieri periferici di Nairobi. Ma la sua famiglia si trova ancora qui, sui Monti Nuba. Ed è qui, dunque, che lui voleva trascorrere il Natale. Appunto, con i suoi. Ma ogni anno, puntualmente, succede la stessa cosa: Khartoum bombarda. Certo, questo del 21 dicembre è stato un bombardamento fra poveri. Ma pur sempre di bombardamento si tratta.
È dal lontano 1984 che qui vige lo stato di guerra. Da allora il "nemico", e cioè il governo fondamentalista islamico di Omar al Bashir (salito al potere con un colpo di Stato nell'89 e tuttora ideologicamente controllato, malgrado qualche screzio fra i due, dal fanatico musulmano Hassan al Turabi), sta tentando - peraltro senza riuscirci - di piegare la ribellione. Nessuno ne parla, naturalmente. Ma gli arresti arbitrari, le detenzioni senza processo in "case fantasma" in cui si pratica ogni genere di tortura, l'islamizzazione forzata nei cosiddetti "campi di pace" (autentici "campi di concentramento"), la ripresa della pratica della schiavitù nei confronti di giovani e donne appartenenti alle etnie non islamizzate, sono fatti ormai tristemente noti. Ciononostante mentre si scrive - anche se sicuramente mai abbastanza - della guerra del Nord contro il Sud animista e cristiano, il genocidio dei Nuba sembra non "bucare" i teleschermi.
NEL NOME DELLA TOLLERANZA
Quella dei Nuba è una società sorprendentemente variegata e tollerante. Ci sono ben 52 tribù e lingue. Gli adulti in genere ne parlano diverse, arabo compreso, e sono abituati a muoversi con disinvoltura nel labirinto delle differenze culturali. Prevalgono i musulmani, ma le comunità cristiane sono in forte crescita: più per la dedizione dei laici locali, che per la presenza costante di preti. Kerker ne è un esempio lampante. Non mancano poi gli aderenti alla religione tradizionale. È chiaro, comunque, che i musulmani di qui vengono guardati con disprezzo dai fanatici sostenitori della jihad di Khartoum.
Li chiamano kufar (ossia "non credenti"). Ed è dunque lecito, quasi raccomandabile, bruciare loro i raccolti, razziare le mandrie, sequestrare i figli. Rachit Adam, 15 anni, ha corso questo rischio nella notte fra il 30 e il 31 dicembre. È stato svegliato dai vicini che discutevano a voce alta. Ha capito subito. Là fuori c'erano dei soldati di Khartoum. Insistevano per essere accompagnati verso i recinti, dove si trovavano le mandrie. E i vicini tentavano di far capire loro che lì a Kauda, in quello sperduto villaggio Nuba, mucche non ce n'erano proprio. Loro insistevano. Ma, alla fine, da poveracci si sono accontentati di portare via delle scarpe e degli indumenti, a gente che è vestita di stracci. Nel frattempo Rachit era scivolato sotto il suo hangaré (un letto fatto di legno e fibre vegetali intrecciate) e, col terrore che ancora adesso gli si legge negli occhi, aveva aspettato che se ne andassero. E che quindi arrivasse l'alba.
Rabbia, disprezzo nei confronti di Khartoum? Macché. Ciò che è davvero sorprendente, è che i musulmani Nuba considerino ancora, malgrado tutto, i musulmani del Nord come degli autentici fratelli. "È un problema loro", sentenzia Mahmoud Jumula, 60 anni, capo islamico della regione di Tira. "Mai e poi mai ci uniremmo alla jihad, se questa dovesse essere lanciata ufficialmente (di fatto, lo è già) da Khartoum. Qui ogni musulmano, cristiano o animista è innanzitutto un Nuba. E come Nuba, ci amiamo profondamente. Pensiamo che la religione appartenga a Dio, non agli uomini, e che ogni sviluppo vada condiviso: soltanto questo potrà portare alla pace. Dunque, qualsiasi festeggiamento da noi è comunitario: dalla fine del Ramadan al Natale. Anche quest'anno, bombardamento permettendo, è stato così".
IL PASSAGGIO DI CONSEGNE
Mentre i Nuba lottano per sopravvivere, in uno degli angoli più isolati della terra, la situazione politica è ad uno stallo pressoché totale. "L'anno scorso, con la visita dei rappresentanti delle Nazioni Unite (giugno e settembre '99) e con la pubblicazione di un consistente rapporto, davvero si sperava di poter instaurare un dialogo fra le parti - cioè i leader Nuba, il governo sudanese e il Consiglio di sicurezza - per poter più facilmente accedere ai Monti Nuba, e dunque portare aiuti umanitari alle popolazioni civili, e per poter migliorare i rapporti con l'intero Spla (Esercito di liberazione del popolo sudanese) di John Garang, segnalando posizioni più possibiliste da parte di Khartoum", dice p. Kizito. "Questo, purtroppo, non è avvenuto. Politicamente, non c'è alcuna volontà di cambiare direzione. E dal punto di vista militare, la tensione resta altissima. Il 2000 è stato punteggiato di bombardamenti. Quello dell'8 febbraio, a Kauda Kok, ha lasciato sul terreno 15 morti: 14 scolari e la loro maestra".
Quel giorno Yusuf Kuwa - governatore dei Monti Nuba e leader del Consiglio nazionale di liberazione Splm (Movimento di liberazione del popolo sudanese) - era lontano. Fu soprattutto grazie alla determinazione di quest'uomo che, nel 1984, i Nuba entrarono a far parte dell'Spla di Garang e scesero quindi sul piede di guerra, quale ultima chance. Oggi, però, lui è gravemente malato. Ha metastasi ossee ovunque, in seguito ad un cancro alla prostata trascurato. Ma, da vecchio guerrigliero, non deporrà il kalashnikov prima di aver compiuto un'ultima missione. L'ennesimo - quanto forse, purtroppo, inefficace - ciclo di terapie, già fissato a Londra, può attendere. Prima ci sarà un altro viaggio, in quella parte della sua terra liberata. Non da solo. Ma con Abdul Aziz Adam al-Hill, un comandante che gli è sempre stato accanto. Costui proviene dal Darfur, una regione vicina al Ciad e alla Libia; e tuttavia è un Nuba d'adozione. E per destino, e per scelta. A lui, la pesantissima eredità di Yusuf e del suo popolo di lottatori.
ALESSANDRA GARUSI