Ultima Intervista a Yussuf Kuwa
Yusuf Kuwa Mekki, comandante della sezione nuba dello Spla (Esercito di liberazione
popolare del Sudan), è morto in Inghilterra lo scorso 31 marzo. Il cinquantunenne
leader nubano, da tempo malato di tumore, si era sempre opposto alla politica
repressiva del regime di Khartoum. La giornalista Anna Pozzi lo aveva intervistato
recentemente per la rivista Mondo e Missione. Si tratta di una testimonianza
inedita di un uomo che ha vissuto la sua vita al servizio di una causa: quella
del suo popolo, schiavizzato e oltraggiato, che rischia di scomparire. Kuwa
racconta la storia di una guerra insensata come lo sono molte altre, ma unica
del suo genere, quella di un gigante, il Sudan, contro il piccolo popolo dei
nuba, arroccato nel cuore del Paese, sulle alture accerchiate e isolate del
Kordofan meridionale. Un piccolo popolo che difende strenuamente il suo diritto
ad esistere, che
difende la propria libertà, identità, cultura. Che combatte per
non scomparire, portando avanti la propria particolarissima lotta nel quadro
di una guerra più vasta, quella che oppone il Nord Sudan al Sudan meridionale
e orientale, con tutti gli interessi politici, economici, razziali e religiosi
che da prima dellindipendenza, e ininterrottamente dall83, vi sono
in gioco. Nell'intervista emerge un uomo saggio e pacato, figura carismatica
ed equilibrata, che unisce alla grande fierezza un forte senso di giustizia.
Domanda: Mister Kuwa, che cosa cè allorigine di tutto questo?
Risposta: Il Paese è stato costruito su basi sbagliate, come se si trattasse
di un Paese arabo. Gli arabi sono meno della metà della popolazione,
ma ciò non ha impedito che gli altri venissero considerati degli schiavi.
Quando studiavo a Khartoum era normale sentirsi chiamare così a prescindere
dal livello distruzione. Anche lo sviluppo è sempre stato concentrato
soprattutto nel Nord e nel Centro.
Altrove il Paese è rimasto povero, la gente soffre e non è istruita.
Sin dallepoca della colonizzazione ci sono state forti discriminazioni.
Ad esempio, se un nuba uccideva un arabo doveva pagare 60 vacche, viceversa,
larabo ne pagava solo 30. Questa e molte altre ingiustizie hanno creato
un complesso di superiorità negli arabi, che si credono da sempre migliori
dei nuba. Noi stessi ci siamo a lungo sentiti inferiori. Oggi poi ci sono molti
altri interessi che alimentano la guerra.
D.: Si riferisce al petrolio?
R.: Soprattutto. Non so fino a che punto, ma indubbiamente influirà sulla
guerra. Il governo sudanese era debole, per molti anni si è trovato in
una posizione di grande isolamento. Ora invece ci sono molti Paesi interessati
al petrolio. Questo è lOccidente. E grazie al sostegno delle compagnie
internazionali e ai soldi provenienti dal petrolio il governo sudanese è
diventato più arrogante e più favorevole alla guerra che alla
pace.
D.: Quali Paesi sono maggiormente coinvolti nello sfruttamento del petrolio
sudanese?
R.: Bisognerebbe parlare di compagnie piuttosto che di Paesi, come la canadese
Talisman e altre ancora. I loro governi dicono in sostanza di non avere alcun
potere sulle compagnie. È così per i cinesi, gli iraniani, per
molti Paesi occidentali, come la Francia, o la Gran Bretagna. Ma tutti si stanno
facendo avanti.
D.: E qual è invece la posizione degli Stati Uniti?
R.: Penso sia il solo Paese che sta ancora sostenendo la nostra causa. Verbalmente,
non con soldi o armi; solo con il supporto morale e umanitario. Il petrolio
sta diventando uno dei principali nodi della guerra sudanese, eppure non se
nè mai parlato durante i colloqui di pace. Cè sempre
un.contenzioso aperto sul problema dei confini dello Stato, ma non si è
mai arrivati a discutere sino a questo punto. Che ci sia anche la questione
del petrolio è certo. È uno degli elementi nascosti della guerra,
di cui nessuno parla apertamente.
D.: Sulle Montagne Nuba non cè il petrolio ad alimentare il conflitto.
Perché dunque il governo sta provocando un vero e proprio genocidio?
R.: Cè un altro grande interesse sulle Montagne Nuba: la terra
fertile. Anche la terra è una risorsa importante per il Sudan. Sin dagli
anni Sessanta, il governo ha iniziato a togliere la terra alla gente, per darla
ai mercanti arabi. Hanno obbligato la popolazione a lavorare come contadini
o ad andare a Khartoum o in altre città come lavoranti. Inoltre, per
trasferire il petrolio dal Sud devono passare dalle Montagne Nuba, quindi siamo
interessati in qualche modo anche da questa questione. Inoltre cè
petrolio anche sulle Montagne Nuba, ma non hanno ancora cominciato a sfruttarlo.
D.: Quante persone sono state uccise sulle Montagne Nuba?
R.: Non cè un dato specifico, coloro che sono morti a causa della
fame o delle malattie sono più numerosi di quelli che sono morti direttamente
a causa della guerra. Ad esempio, nel 1997, 3.000 bambini morti per unepidemia
di morbillo, che non si è potuta curare per mancanza di medicine. Del
numero totale dei morti non sono sicuro; ciò di cui sono sicuro è
che il governo sudanese insiste che gli aiuti non arrivino sulle Montagne Nuba.
Così la gente muore per le malattie, la mancanza di medicine, la fame
e così via.
D.: LOnu, che pure gestisce Lifeline Sudan, la più importante
operazione umanitaria al mondo, non ha mai portato aiuti sulle Montagne Nuba.
Perché?
R.: Le Nazioni Unite hanno fatto nel 99 i primi sopralluoghi e hanno avviato
alcuni interventi, in particolare di carattere sanitario, come i vaccini contro
la poliomielite. Ma sono stati nuovamente bloccati dal governo. E questo è
scandaloso. È scandaloso che le Nazioni Unite si pieghino agli ordini
del governo contro gli interessi della gente.
D.: Avete fatto numerosi appelli per far conoscere la vostra situazione, denunciare
labbandono, chiedere aiuto. Come hanno risposto i Paesi occidentali?
R.: Non so se si può dire che il mondo occidentale abbia risposto. Siamo
riusciti ad entrare in contatto solo con pochissime organizzazioni che ci danno
il loro aiuto e che lavorano con noi. Lunico governo che ci manda aiuti
umanitari è quello italiano. In fondo, che lOccidente sia con noi
o meno, non cambia molto le cose; i Paesi occidentali corrono dietro innanzitutto
ai loro interessi e ormai molti sostengono il governo di Khartoum a causa del
petrolio. Questo è linteresse principale. E per questo noi siamo
molto critici verso il mondo occidentale.
D.: E verso gli arabi?
R.: Tradizionalmente gli arabi sudanesi ci hanno sempre considerati degli schiavi
fino a quando il nostro popolo non ha cominciato a prendere le armi e ha iniziato
a proteggersi da sé. Ciò non significa che prima della guerra
non si riuscisse a trovare degli accordi per una convivenza pacifica. Ma certamente
con linizio del conflitto il governo ha iniziato ad accentuare le differenze,
questi sono arabi e voi no, questi sono musulmani e questi no, e così
via. Abbiamo iniziato a combatterci gli uni gli altri, per tutto questo tempo.
D.: Eppure molti nuba sono musulmani, lei stesso lo è. E una guerra
tra 'fratelli'?.
R: Mio padre era un musulmano, parlava larabo. Anchio, sino alle
superiori, pensavo di essere un buon musulmano. Poi ho cominciato a vedere che
cera qualcosa di sbagliato. Non tanto nella religione. Quanto nel fatto
che mi avevano fatto assorbire la cultura araba e fatto credere di essere un
arabo. Poi ho iniziato a leggere dei libri sui nuba. Era come se leggessi di
me stesso: sentivo che parlavano di me, della mia cultura, della mia identità
di africano. A scuola gli insegnanti mi avevano fatto odiare questa cultura,
le mie origini ed anche me stesso. Avevamo vergogna di essere nuba. Sin dallindipendenza
il governo sudanese ha cercato di soffocarci, mettendo in atto una politica
che definirei di genocidio culturale. Perché se ti dicono che sei qualcun
altro, che non sei un nuba, allora provi davvero ad essere qualcun altro, abbandonando
la tua cultura e il tuo stile di vita.
Questo per me è un vero e proprio genocidio culturale. Ma ora ci siamo
resi conto che tutto questo è
profondamente sbagliato. Siamo nuba, Dio ci ha creato come nuba, e noi dobbiamo
difenderci, conservare la nostra cultura, invece di abbracciarne unaltra
che non sentiremo mai come nostra. Noi siamo orgogliosi di ciò che siamo
e chiediamo di vivere la nostra vita, nel modo in cui labbiamo vissuta
e in cui vogliamo viverla.
D.: Quali sono gli aspetti più significativi della cultura nuba?
R.: Siamo un popolo estremamente pacifico e tollerante soprattutto dal punto
di vista religioso; nella stessa famiglia si può trovare un musulmano,
un cristiano e un adepto delle religioni tradizionali, un non musulmano e un
non cristiano. Amiamo la vita e abbiamo molti modi per celebrarla: le danze,
i canti, la lotta... La lotta, per esempio, non è mai una semplice esibizione.
È profondamente radicata nella nostra cultura e nella nostra società:
è qualcosa per cui i giovani vorrebbero diventare famosi; sono fieri
di portare di villaggio in villaggio il proprio nome e quello del proprio luogo
dorigine. Anche i canti e le danze sono molto variegati; ce ne sono di
specifici
per la stagione delle piogge e per quella secca, per la festa del raccolto e
per altro ancora. Si suonano strumenti diversi, la gente dei villaggi vicini
accorre, si festeggia. Ma non è più come in passato, per questo
cerchiamo di promuovere la nostra cultura nelle scuole, affinché gli
studenti crescano nel contesto tradizionale del nostro popolo, non in un ambiente
estraneo. La guerra ha cambiato molte cose, ma ha anche contribuito a dare ai
nuba una propria autocoscienza; con la guerra abbiamo cominciato a sentire che
siamo nuba, che questa è la nostra identità, che non dobbiamo
averne paura o vergogna. Ma aver fiducia in noi stessi non è una cosa
facile, perché
prima non ce lavevamo.
D.: Quali sono le prospettive di questa guerra. Pensa che durerà ancora
a lungo?
R.: Non si possono valutare le prospettive della guerra solo per le Montagne
Nuba. Bisogna tener conto anche di tutto il Sud, del Blue Nile, del Sudan orientale.
Ognuna di queste regioni può essere decisiva. Poi cè dietro
un lavoro politico che talvolta ha ripercussioni sulla guerra, come il recente
accordo fra Hassan el Turabi e lSpla, che credo cambierà anche
la situazione militare.
D.: Cosa ne pensa di questo accordo?
R.: Penso che sia una cosa buona. Già nel 1992 eravamo molto vicini alla
pace. Quelli che attualmente sono i vice di Turabi, avevano spedito a Khartoum
laccordo che avevamo fatto ad Abuja, Tanziania, ma il governo rifiutò.
Pensavano che fossimo molto deboli, e ci hanno attaccato per la prima volta
durante la stagione delle piogge. Migliaia di persone sono morte. Ora posso
vedere chi era per la pace a quellepoca e chi non lo era. Chi è
al potere ora è tra quelli che rifiutarono la pace..
D.: Quale è la miglior via per raggiungere la pace? I colloqui nel quadro
dellIgad (organismo che raggruppa i Paesi dellAfrica orientale
ndr) o il documento di lavoro proposto da Libia ed Egitto?
R.: Pensiamo che lIgad abbia fatto delle proposte molto buone per risolvere
i problemi. Per noi sono ragionevoli, capiscono la nostra situazione, ma il
governo continua a rifiutare. Questa è la ragione per cui ha preso tutto
questo tempo. Liniziativa libico-egiziana è una jumlla (una proposta
di carattere generale), non prevede una vera e propria Dichiarazione di principi.
Inoltre - e questa è una delle cose più importanti - Egitto e
Libia rifiutano qualsiasi autodeterminazione per il Sud, quindi non so come
questa iniziativa possa condurre alla pace in Sudan.
D.: I suoi auspici per il popolo nuba?
R.: Il mio desiderio è che la guerra finisca. Che finisca in un contesto
buono e giusto, dove possiamo avere il nostro Stato e scegliere i nostri governanti,
ministri e così via. Dove possiamo essere responsabili di noi stessi
invece di essere sempre considerati cittadini di seconda classe. Dove possiamo
condividere il potere politico ed economico con il resto dei sudanesi, per vedere
finalmente nascere un nuovo Sudan a cominciare dai villaggi prima ancora che
nelle città. Questo è il mio desiderio e il mio augurio per il
nuovo Sudan in generale e per i nuba in particolare.
(di Anna Pozzi ©) (MONDO E MISSIONE)